
Poi tremo davanti al mio file. Tremo di voglia di far sgorgare le mie parole come un acquazzone che scende all’improvviso in un giorno di primavera. Quando tutto brilla di luce propria e arrivano le tenebre. Il buio. E resti sommerso poi dall’acqua. Dalle parole. Parole che poi ti bagnano, ti innaffiano e poi ti donano la vita.
Studio poi lo sguardo di mia madre. Sorrido. Mi illumino. Mi rassereno. Poi datemi il suo dito e io vado. Vivo.
Stanotte non ho dormito e il letto sembrava duro, freddo, scostante. Poi il respiro del mio cane era lento e calmo, mi trasmetteva pace, ma il letto non mi voleva! Sapevo che i miei dormivano e non volevo svegliarli e non riuscivo ad alzarmi perchè forse non era il letto che mi cacciava, ma la mia angoscia che appesantiva le mie membra. Fare lo scrittore era il pensiero. Chi sono io per fare lo scrittore? Dove acquisisco la vita da mettere in parole? Forse è un ruolo che non mi si deve attribuire. Io poi mi spavento davanti a questo sostantivo. Porto semplicemente i miei pensieri in parole scritte non potendoli dire a voce, non penso che questo voglia dire saper scrivere o essere scrittore. Preferisco rimanere un ragazzo che non parla e scrive per non essere solo e abbandonato.
Tremo frasi di encomio quando esce un nuovo pezzo. Tremo perchè il mio orgoglio spregiudicato le aspetta, tremo perchè non sono all’altezza di quello che mi scrivono. Poi grazie vi dico e tutto torna come prima. Io nel mio letto con le mie parole da ordinare e l’indifferenza quotidiana.
Poi non posso smettere di scrivere e non posso smettere di scrivere. Voi potete smettere di leggermi.
Abbiamo un tempo stabilito per ogni cosa e la fluidità delle cose prende il sopravvento, poco rimane, tutto passa, ma tutto lascia un segno dentro di me.